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MUSEI ED ESPOSIZIONI

Nel Parco Alpi Liguri la cultura e le tradizioni dei borghi storici rivivono nei musei locali, aperti tutto l’anno su prenotazione in ogni Comune e fruibili liberamente durante la stagione estiva.

Ognuna di queste strutture è dedicata alla particolare vocazione dei rispettivi territori: la pietra a Rezzo, le erbe a Cosio d’Arroscia, la pastorizia a Mendatica, la castagna a Montegrosso Pian Latte, l‘olivo a Rocchetta Nervina, la stregoneria e la cultura brigasca a Triora e Realdo, la vita contadina a Pigna.

Il sito museale di Cosio denominato “In Herbis Salus”, fa parte del Museo del Territorio “I Volti dell’Ubagu”. La sua sede è quella dell’ex municipio di Cosio d’Arroscia e comprende, al piano terra, un’esposizione di circa 150 specie di piante aromatiche medicinali ed eduli, classificate con il nome latino e volgare, apparecchiature per la preparazione di tinture, estratti, tisane; al piano superiore, un laboratorio didattico con emeroteca.

Il museo “In Herbis salus” è intitolato all’Agronomo Cav. Giovanni Alessandri originario di Cosio d’Arroscia che, diplomatosi perito agrario all’Istituto Agrario di Sant’Ilario di Genova, entrò successivamente a far parte dell’equipe della cattedra ambulante dell’Agricoltura di Porto Maurizio. Grande esperto di olivicoltura e di viticoltura, si specializzò in piante medicinali alla scuola di maestri prestigiosi e, come tale entrò a far parte del Comitato delle Piccole Industrie di Porto Maurizio, fino all’incarico di Erborista Provinciale.

Nuova sala dedicata ai fiori eduli

Nel 2020 è stata inaugurata dal Comune e dall’Associazione Pro Loco una nuova sala museale dedicata ai fiori eduli. L’intervento è stato realizzato nell’ambito del Progetto Interreg Alcotra ANTEA, rivolto ad attività innovative per lo sviluppo della filiera transfrontaliera del fiore edule.

Il museo si compone di pannelli con foto e disegni, ma anche di contributi video, in un contesto multimediale. In bassa stagione e per le visite guidate la sala è visitabile su prenotazione, mentre in estate resta accessibile nei fine settimana.

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Passeggiando per le vie e i carruggi del borgo di Cosio d’Arroscia, arte, cultura e tradizione si possono trovare letteralmente ad ogni angolo del paese. Inoltrandosi per i vicoli che si snodano fra case collegate da oscuri archivolti, si possono ammirare il campanile medioevale dell’Oratorio di N.S. Assunta, la Chiesa Parrocchiale di San Pietro Apostolo costruita nella prima metà del XVII secolo, l’Oratorio dell’Assunta di epoca tardo-barocca, oggi inglobato nell’ex-palazzo comunale (sede del Museo delle Erbe) e fiancheggiato dall’antica torre difensiva tardo-romana poi trasformata nel XIII secolo in campanile romanico cuspidato, e ancora la Chiesa di S. Pietro del Fossato che conserva affreschi del XV secolo.

Ma non sono soltanto i monumenti storici a rendere la visita a Cosio d’Arroscia affascinante e immersiva: tutto il borgo, per iniziativa degli abitanti, è divenuto un vero e proprio museo a cielo aperto, allestito dalla popolazione con un’esposizione di oggetti e rappresentazioni tipiche in angoli, carruggi e balconi. Un modo semplice ma efficace per arricchire la visita al paese e scoprirne storia e tradizioni direttamente lungo le vie.

Il “Borgo del Benessere” porta così i visitatori alla scoperta degli antichi mestieri che venivano praticati nella zona in un tempo ormai lontano: un angolo con le attrezzature utilizzate da pastori e contadini, uno spazio con attrezzi da barbiere, angolazioni dedicate alla casa e alla cucina, abiti d’epoca e antichi oggetti legati ai divertimenti dei bambini.

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Il Museo di Mendatica riporta il visitatore alla vita di un tempo, proponendo una ricca collezione di oggetti d’uso quotidiano ma anche di riproduzioni di documenti storici relativi all’antica geografia del territorio.

Il museo è localizzato in tre sedi:

Casa del Pastore: nel Museo del Pastore è raccolta la tradizione popolare del territorio: oggetti e strumenti utilizzati dai pastori per la lavorazione del latte sono visibili all’interno degli ambienti ricostruiti di una tipica abitazione. Come gli edifici di un tempo, anche il museo si sviluppa su due piani di identica estensione; il piano terra, ricostruito come stalla, è un unico ambiente che conserva gli oggetti abituali del pastore, sia per la cura del bestiame che per la produzione del formaggio. Al piano superiore sono stati invece ricostruiti i due vani principali all’interno dei quali si svolgeva la vita quotidiana delle famiglie: da un lato la cucina con il focolare centrale, dall’altro la stanza da letto con i pochi effetti personali destinati all’abbigliamento e alla cura del corpo.

Vecchie Prigioni: due celle che, come indica l’appellativo, nel XVI secolo ospitavano temporaneamente i detenuti in attesa di essere giudicati dal Tribunale della vicina Pieve di Teco. Oggi, l’antico carcere accoglie al proprio interno una ricca selezione di oggetti della vita quotidiana del passato.

Sala di Cartografia Storica: All’interno del Museo sono conservate numerose riproduzioni fotografiche di mappe del territorio risalenti al XVI-XVIII secolo e recuperate dagli archivi di Stato di Torino, Genova e Nizza.

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Il Museo si trova nel centro della frazione di Andagna in una casa a quattro piani, donazione della famiglia Rinaldo Firighelli, e raccoglie le più autentiche testimonianze contadine e artigianali del luogo.

Esposizione:
Piano terreno – Tre locali adibiti ad antica cantina, salotto signorile e ricostruzione di una bottega di falegname.
Cantina – Un antico torchio in legno datato 1837 fa bella mostra di sé a testimoniare l’arte del buon vino.
Salotto delle Collezioni – Testimonianze e oggetti del passato

La falegnameria, disposta esattamente com’era cento anni fa, racchiude tesori e utensili che permettono di comprendere l’abilità del Maestro Petro’ (Pietro Tirso), dal banco di lavoro ai vari sistemi per tagliare gli alberi e realizzare le tavole, fino agli scalpelli e a quanto occorreva per realizzare veri e propri capolavori.

Al primo piano, la Sala Contadina conserva un antico carretto trainato a mano, alcuni aratri in legno ed in ferro. Una seconda sala, dedicata ai mestieri, contiene arnesi per coltivare la terra, falciare l’erba, tostare il caffé, realizzare calzature. La terza sala rappresenta due scuole, quella di cucito con macchine, forbici, ferri da stiro, la macchina per cardare la lana e per farne la matasse, e la scuola elementare con il banco, la calcolatrice (un pallottoliere), un mappamondo e tre pagelle originali.

Al secondo piano è stata realizzata la cucina seguendo le indicazioni ritrovate in vecchie abitazioni del paese, con il fuoco circolare al centro della stanza, sormontato dal classico canissu (essiccatoio per le castagne), la madia e altre testimonianze ritrovate o offerte dalla popolazione. La stanza successiva racchiude la camera da letto con la culla, un letto in ferro, un armadio e vesti del tempo.

Il museo è stato completato all’ultimo piano con un omaggio alle “streghe” di Andagna, che nel 1587, per mano del commissario civile Giulio de Scribani, vennero incarcerate, torturate, interrogate e processate.

E’ possibile visitare il Museo rivolgendosi all’Osteria di Andagna oppure contattando i seguenti recapiti: museo@andagna.it – Tel. 347 7999698 / 329 0527885

Casa Balestra. Si tratta di una dimora storica, con mura del XVI secolo e arredi originali ottocenteschi; la abitò un tempo il chirurgo G.B. Balestra, esponente del Risorgimento e pioniere della vaccinazione. La dimora è stata conservata integra nelle suppellettili d’epoca e oggi è tutelata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici.

Centro culturale “Il mulino racconta”. Il mulino, di proprietà comunale, si trova nei pressi del Lago dei Noci e dell’Oratorio di Sant’Antonio da Padova, nella zona dell’antico ponte. Si tratta di uno dei 23 mulini che diedero origine all’abitato di Molini di Triora, e che molto probabilmente esisteva già all’inizio del XVII secolo. Vi si trova ancora tutto il sistema di macinazione del grano, insieme ad altri reperti interessanti: un vero e proprio percorso (anche multimediale) con numerosi documenti d’epoca, come contratti e fotografie, che raccontano la storia dell’acqua nella Valle Argentina.

Il Museo della Castagna propone al suo interno un  breve percorso suddiviso in sei sezioni, che avvalendosi di pannelli esplicativi, fotografie, mappe e ricostruzioni illustrano storia e tradizioni dell’utilizzo della castagna nelle società rurali dell’entroterra ligure. Dagli aspetti botanici a quelli storico-etnografici, sino ai vari usi della pianta e alle tecniche di lavorazione e conservazione del frutto, la sede illustra l’intero ciclo della castagna nell’economia e nell’alimentazione delle generazioni passate. A conclusione del percorso, la sezione reale di un tronco millenario e un video didattico.
Da qui ha inizio l’itinerario del “Bosco Addomesticato“, che attraverso le vie del borgo conduce prima ad un essiccatoio recentemente restaurato, poi ad una radura nel bosco con la ricostruzione di due carbonaie (una intera ed una sezionata) ed infine ad un bosco di castagni.

L’essiccatoio (in dialetto “canissu”) è una struttura ampiamente diffusa in Valle Arroscia, utilizzata già nel Settecento e fino alla metà del secolo scorso specialmente intorno ai centri abitati che disponevano di boschi ricchi di castagneti. L’edificio seguiva uno schema pressoché fisso: un locale costruito in pietra, provvisto di un focolare centrale e di un solaio forato realizzato con travetti portanti e canne intrecciate sovrapposte (da qui il nome).

Il terzo sito offre invece una ricostruzione delle antiche carbonaie: un cumulo di legna verde, vuoto al centro per il focolare, sigillato con una lastra di roccia e coperto con terra umida, foglie, erba e muschio. Nei pressi, la baracca-tipo utilizzata dai carbonai.

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Il museo presenta la tradizionale vita contadina dell’Ottocento a Pigna e in Alta Val Nervia, fra la Riviera e le Alpi Liguri: si rivedono i pastori attraversare le montagne con le loro greggi, i contadini indaffarati nella raccolta e nella distillazione della lavanda o di altre piante aromatiche, altri intenti alla coltivazione del grano, della vite e degli olivi nelle campagne attorno al borgo medievale dove, una volta, erano attivi anche numerosi artigiani: il calzolaio, il falegname, il fabbro.
Diversi ricordi fanno rivivere tutto questo mondo: vecchi attrezzi, oggetti della vita quotidiana, foto e documenti storici, videofilm.

Il museo, aperto dal 1995, sorge proprio nel centro storico, ai piedi della chiesa San Michele. Su circa 200 mq in cinque sale viene fatta rivivere la memoria delle tradizioni del paese.
La collezione è stata chiamata “La Terra e la Memoria” perché offre al pubblico, con l’esposizione di oggetti, attrezzi e fotografie, la possibilità di entrare in contatto con una “civiltà” contadina sopravissuta in un ambiente architettonico medievale. È lo spazio dedicato all’insegnamento lasciato dalla terra, con la coltivazione tradizionale del grano, degli olivi, l’attività pastorale o artigianale. Queste attività però non sono isolate dalla storia scritta sulle pergamene, dalle opere d’arte visibili nelle chiese del paese e neanche dalle devozioni, dalle processioni religiose o da altre feste che ritmavano la vita sociale al suono della banda musicale: l’insieme di queste “memorie” dovrebbe permettere ai visitatori di prendere coscienza della ricchezza di questo eccezionale patrimonio.

  • Sala 1: la pastorizia e la distillazione della lavanda
  • Sala 2: la fede e il quotidiano
  • Sala 3: gli artigiani
  • Sala 4: la raccolta del grano
  • Sala 5: l’olio e il vino

Nell’estate 2021, la sezione etnografica è stata ampliata con l’inaugurazione del “Museo del Cibo dell’Alta Val Nervia” in collaborazione con il Progetto Lavanda della Riviera dei Fiori, il Centro Italiano della Lavanda e CNA Imperia. Il nuovo polo museale è stato collocato nei locali adiacenti alla preesistente collezione, ampliandone gli spazi e aggiungendo nuovi materiali.

La prima sala è dedicata alla lavanda e alla sua storia, che fin dall’antichità si interseca con quella del Ponente Ligure. Particolare risalto è stato dato alla figura di Aristide Martini, cittadino originario di Pigna e grande esperto di erbe aromatiche, al quale si deve l’invenzione dell’alambicco a doppia serpentina. La seconda sala è incentrata sul cibo dell’Alta Val Nervia, con il Fagiolo Bianco di Pigna Presidio Slow Food, la Lavanda Officinalis Imperia, il pane nero di Pigna, i ravioli alle erbe aromatiche, la pisciarada (sorta di torta salata con le patate), i funghi e le castagne.

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Il borgo di Cènova, piccola ma suggestiva frazione del Comune di Rezzo, domina la lussureggiante Valle della Giara, situata fra i comprensori dei torrenti Arroscia, Impero e Argentina: interamente circondato da ripidi pendii coltivati a terrazze e con i vicoli stretti e in salita, il paese onora da centinaia di anni la propria unione con la pietra, che da semplice materiale da costruzione si è fatto qui base per vere opere d’arte.

Proprio a questa antica tradizione e alle famiglie locali di scalpellini che nel corso del Quattrocento e del Cinquecento hanno operato nella zona e poi in tutto il Ponente Ligure, è dedicato il sito museale “Strade di Pietra”, con circa 140 metri quadrati di allestimento.

Un museo-laboratorio all’interno del quale i testi illustrativi del contesto di produzione degli scalpellini si alternano ad installazioni video, immagini, mappe, manufatti e strumenti che permettono di conoscere ogni aspetto di questo antico mestiere. Dalla fase di estrazione e trasporto sino alla lavorazione e alla posa in opera, la sede di Cènova accompagna il visitatore alla scoperta del ciclo della pietra fino alla conclusiva sala didattica, dove si possono toccare con mano punte, scalpelli e compassi.

Il museo è articolato in due sezioni:
– Il museo dei lapicidi, a Cènova, con le sezioni relative alle varie fasi di lavorazione della pietra
– I percorsi all’aperto nei centri storici del capoluogo (Rezzo) e delle frazioni (Cènova e Lavina), che permettono di ammirare i vari elementi decorativi, il loro impiego, e, in alcuni casi, il loro successivo riutilizzo.

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Nel cuore di Rocchetta Nervina, nei pressi della passerella che costeggia il paese lungo il torrente Barbaira, spicca una struttura alta come una torre, che sporge dal profilo del borgo, nota come “torre delle Dubarìe”. Nel gergo arcaico locale, il termine dubarìe ha sempre richiamato un bassofondo in una zona imprecisata, maleodorante e malsana.

Nel 2015, Enrico Carabalona completa qui l’acquisizione di vari spazi e locali dall’aspetto di stalle in rovina, divenute ormai discarica per immondizie, e decide di avviare un’operazione di recupero per creare un deposito: lo sgombero rivela subito che i locali acquisiti, come pure tutto il fabbricato della torre, erano nati come conceria. E’ a questo punto che prende forma un progetto proiettato alla valorizzazione ed al recupero storico, complice l’ulteriore scoperta della struttura muraria in rovina di un antico mulino.

I diversi spazi sono stati dunque rimessi in funzione e resi fruibili al pubblico attraverso la realizzazione di un polo museale inaugurato nell’estate 2019.

Le concerie – Il mulino

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Ideato dallo storico locale Padre Francesco Ferraironi, fortemente voluto da un gruppo di trioresi appassionati, il Museo di Triora Etnografico e della Stregoneria è sorto anche grazie all’apporto di un gruppo di ragazzi genovesi, che vi hanno immesso il loro entusiasmo e la loro competenza.
Una visita in queste sale è il modo migliore per iniziare un indimenticabile viaggio che conduce alla scoperta di Triora, della sua natura, della sua storia e delle sue genti.

Suddivisa in sei sale principali, la Sezione Etnografica del Museo rappresenta in ognuna di esse uno “spaccato” della vita quotidiana dei contadini del paese e della valle attraverso ricostruzioni fedeli di scene di lavoro nei campi e l’esposizione di utensili e oggetti in uso nelle diverse attività lavorative.

Scendendo nei sotterranei, già sede delle carceri, si entra nella sezione del Museo dedicata alla Stregoneria, in cui spesso si provano sensazioni contrastanti, dalla curiosità al timore del soprannaturale. Se da un lato infatti le credenze e le superstizioni sono ancora oggi assai vive nel paese, i documenti conservati nell’Archivio di Stato di Genova – ma qui fedelmente riprodotti – raccontano supplizi tremendi e interrogatori spietati avvenuti nel corso del Processo del 1587. Ben quattro sale sono dedicate a questo tragico capitolo della storia locale. In due di esse sono ricostruite scene degli interrogatori e della prigionia delle donne accusate.

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Il Nuovo Museo Etnostorico della Stregoneria di Triora è situato all’interno di Palazzo Stella (Piazza Collegiata): un doppio motivo di vanto per il borgo, che restituisce alla visita un gioiello architettonico di Triora e insieme un’importante memoria storica, quella delle donne accusate di stregoneria e orribilmente torturate nei notissimi processi degli anni 1587-89.

La prima fase di allestimento del MES propone 4 sale:
– con la prima si entra subito nelle coordinate e negli strumenti operativi del pensiero magico, con la prestigiosa collezione esoterica ”Pio Breddo”;
– nella seconda si materializzano, in forme artistiche, le immagini delle dee, spiriti e creature femminili presenti nel pantheon archetipico delle accusate;
– nella terza sala fragranze erboristiche aiutano ad esplorare le competenze fitoterapiche delle dominae herbarum;
– un pannello di passaggio introduce al grigiore della quarta sala, con l’invenzione della strega diabolica e il processo di Triora. Qui, testi antichi di esperti demonologi attestano un’evidente premeditazione nel colpire i ‘devianti’, mentre la voce di Franchetta Borelli, alias Laura Sicignano, coinvolge direttamente il visitatore nelle torture subite.

Già in questa prima fase di allestimento c’è una specifica attenzione ai bambini, accolti all’ingresso dal video della Scuola Primaria di Triora, mentre nelle sale sono collocate riproduzioni di esclusivi acquerelli di Libereso Guglielmi e illustrazioni di Diana Fontana del volumetto ”Le streghe assurde”.

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Il piccolo museo di Realdo, con le sue esposizioni, le documentazioni e testimonianze ed una ricca raccolta di video, vuol essere un luogo di incontro, di memoria, di scambio ed una porta sul territorio della Terra Brigasca.

Il vero museo infatti sono le case abbarbicate sull’orlo della rocca, gli otto borghi della Terra Brigasca (Briga, Morignolo, RealdoVerdeggia, Piaggia, Upega, Carnino e Viozene), sono il Monte Saccarello, la Madonna del Fontan, i Fortini di Cima Marta, la Valle dei Maestri con la cappella di Sant’Erim, le montagne pettinate di terrazze, i pascoli ancora attivi, i segni tangibili della vita pastorale e contadina: una comunità, quella Brigasca, che ha quasi mille anni i storia e di identità.

Il Museo della Cultura Brigasca di Realdo è diviso in due sezioni:

– al piano superiore, il viaggio nelle tradizioni e nella cultura brigasca: un percorso che, partendo dall’Occitania Granda e passando attraverso le valli occitane del Piemonte, arriva fino al cuore del territorio brigasco, attraversando tutti i suoi borghi storici. Una collezione di video, con immagini e approfondimenti inediti, per conoscere la storia, le tradizioni e la lingua brigasca all’interno del più ampio contesto occitano (storie di confini, mestieri, costumi, case, arredi, lavoro, canti e musica);

– al piano inferiore, viaggio nel territorio brigasco: una carta multimediale navigabile a più livelli, arricchita dall’utilizzo della toponomastica tradizionale, per addentrarsi nei luoghi ed esplorare il territorio con l’ausilio dei mezzi di cartografia digitale.

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