Seleziona una pagina

La cultura gastronomica delle Alpi Liguri è parte dell’eredità del passato di questo territorio, della vita di tutti i giorni e delle sue attività: la cura del bosco forniva legna da ardere, materiale da costruzione ma anche castagne e frutti del sottobosco; cereali, leguminose ed ortaggi venivano invece coltivati sui versanti più soleggiati, mentre l’allevamento garantiva il fabbisogno delle proteine animali con carne e latticini. Qui la cucina ligure tipica della costa fa spazio agli aromi dell’entroterra e ai sapori montani, dove l’olio, più che un condimento, era considerato un medicinale prezioso, da assumere in piccole dosi.

Anche la particolare conformazione geografica e climatica del paesaggio, la vicinanza con le cime montuose e il mare, ha contribuito a creare prodotti e sapori unici: il fagiolo bianco di Pigna è tutelato da uno specifico Consorzio è divenuto presidio Slow Food, così come l’aglio di Vessalico che si coltiva anche su questi pendii terrazzati; la toma di pecora brigasca ha il gusto saporito del foraggio naturale che nutre le greggi.

Il Direttore dell'Ente Parco Naturale Regionale delle Alpi Liguri

I PRESIDI SLOW FOOD NEL PARCO

Il nome del prodotto deriva dal paese francese di La Brigue, in Val Roja, noto per essere stato nei secoli passati il più importante centro di pastorizia di tutta l’area di confine tra Liguria, Piemonte e Provenza. Nonostante le numerose vicissitudini amministrative, da sempre qui si parla il brigasco, un dialetto compreso al di qua e al di là della frontiera, che discende dall’antica lingua d’Oc.

La pecora Brigasca, una popolazione ovina autoctona, ha avuto origine, con tutta probabilità, dallo stesso ceppo della Frabosana: il profilo arcuato e, nei maschi, le corna a spirale rivolte all’indietro sono simili. È un animale robusto, dotato di arti muscolosi e unghielli forti, adatti al pascolo in zone impervie. L’allevamento tradizionale prevede, infatti, un periodo di sette-otto mesi in alpeggio e di circa quattro mesi in bandia, la zona costiera dove il clima mite permette di mantenere il pascolo all’aperto anche nei mesi invernali. Con il suo latte si producono tre formaggi: la Sora, la Toma e il Brus.

Per saperne di più

Il Fagiolo bianco di Pigna, assieme a quello di Conio e Badalucco (tutti centri dell’imperiese), è uno dei prodotti a Presidio Slow Food del territorio del Parco. E’ presente sui territori di Pigna, Buggio e Castelvittorio da oltre 300 anni. Le aree coltivate sono collocate nelle zone denominate, in dialetto, abrigu, cioè esposte al sole, dove le colline hanno una conformazione dolce con leggeri pendii adatti alla coltivazione.

Pare che i territori dove viene attualmente coltivato il fagiolo siano stati, probabilmente, messi in coltura sin dall’epoca romana. La pianta è giunta in Liguria nel XVII secolo dalla Spagna (approdato con le navi provenienti dal Nuovo Mondo), passando per la Provenza, e ha trovato qui il suo habitat ideale. Sui terrazzamenti a secco dell’entroterra, le aree più adatte alla coltivazione si trovano nei punti più alti, dove i terreni sono ben drenati, e l’acqua è quella sorgiva, calcarea, ricca di sali minerali.

Per saperne di più

Pianta erbacea della famiglia delle liliaceae, a bulbo perenne, composta da tanti piccoli bulbi a spicchio ricoperti da una pellicola di color bianco o rosato. Le foglie sono saldate a tubo alla base e formano una guaina allo scapo fiorale; superiormente sono appiattite e cave, larghe anche 2 cm alla base e più sottili alla sommità.

L’aglio di Vessalico, Presidio Slow Food, ha origine nell’omonimo Comune dell’Alta Valle Arroscia: la sua sopravvivenza è legata alla volontà di pochi agricoltori, che hanno continuato a coltivarlo in minuscoli appezzamenti abbarbicati sui pendii delle montagne, tramandandosi i bulbi da generazioni, assieme alla tecnica di coltivazione e a quella di confezionamento. Ha un aroma delicato, un sapore intenso e leggermente piccante e, soprattutto, un’estrema digeribilità e conservabilità.

Per saperne di più

Nel territorio della Provincia di Imperia sono presenti due sottospecie di api, la bionda (Apis mellifera ligustica), endemica della penisola italiana, e la nera (Apis mellifera mellifera) proveniente dalla vicina Francia, che da millenni si incontrano ibridandosi naturalmente, dando vita a un ecotipo ligure, comunemente chiamata ape nera del Ponente ligure.

Si tratta di una specie molto resistente, che si è adattata al particolare microclima e alla flora locali, gestendo le risorse e volando anche in condizioni climatiche avverse. Osservando alcune colonie in grado di sopravvivere anche nei tronchi degli alberi o negli anfratti di roccia, alcuni apicoltori dell’entroterra hanno deciso di allevare quest’ape, cercando di preservarla.

Per l’estrazione del miele vengono utilizzate pratiche apistiche non invasive e vicine alle esigenze di questo ecotipo. Il miele si raccoglie dal mese di aprile sino a settembre ed è reperibile sul mercato tutto l’anno. Viene prodotto in prevalenza millefiori di macchia mediterranea, erica, castagno, propoli e polline. Nella gestione degli alveari è prassi degli apicoltori lasciare un quantitativo di miele sufficiente alle colonie per affrontare il periodo invernale.

Per saperne di più

Ogni Comune del Parco ha gustose ricette da offrire ai suoi visitatori, piatti da gustare nei ristoranti e negli agriturismi, o da sperimentare a casa propria, dopo averne acquistato gli ingredienti direttamente sul posto, presso una delle tante aziende agricole o nei piccoli negozi di alimentari che espongono formaggi, miele, frutta, ortaggi, olio e vino del territorio.

In particolare, l’Alta Valle Arroscia (Comuni di Cosio, Mendatica, Montegrosso Pian Latte) e il Comune di Triora (in Valle Argentina) condividono l’antica cultura gastronomica della Cucina Bianca, che ancora oggi porta in tavola i sapori della pastorizia, con latticini e ortaggi poco colorati; anche la zona di Rezzo, prossima ai pascoli del Monte Monega, vanta una lunga tradizione pastorale legata alla produzione di formaggi, mentre Pigna e Rocchetta Nervina (Val Nervia) offrono ai visitatori il gusto delicato del fagiolo bianco, che si sposa perfettamente con la più saporita carne di capra.

Fra queste eccellenze non sono inoltre da dimenticare il miele e le erbe aromatiche di Cosio d’Arroscia, le castagne di Montegrosso Pian Latte, il vino Ormeasco DOC di Rezzo e il Pane di Triora.

Il Direttore dell'Ente Parco Naturale Regionale delle Alpi Liguri

LE ALTRE ECCELLENZE LOCALI

Nelle valli del Parco sono presenti aziende di apicoltura (alcune delle quali con certificazione biologica) che producono mieli d’eccellenza, grazie anche alla straordinaria biodiversità vegetale e alla diffusa presenza di castagni e fiori di montagna (rododendro, ecc.). Molte sono infatti le varietà del miele delle Alpi Liguri:

Acacia (robinia). Colore: molto chiaro. Sapore: leggero, delicato; ricorda il dolce della frutta matura. Cristallizzazione: molto ritardata quasi assente.
Castagno (castanea sativa). Colore: scuro. Sapore: forte, persistente, penetrante. Cristallizzazione: Molto ritardata, quasi assente.
Millefiori. Colore: dal noce chiaro al noce scuro, a seconda delle annate dei pascoli. Sapore: caratteristico e gradevole. Cristallizzazione: fine, regolare, compatta.
Tiglio (tilia sp.). Colore: ambra chiaro. Sapore: piuttosto carico, penetrante, con un leggero retrogusto amaro. Cristallizzazione: lenta e irregolare, si formano grossi cristalli.
Rododendro (rhododendron sp.). Colore: molto chiaro bianco nel cristallizzato. Sapore: ben caratteristico, ma con un tono armonioso e pieno. Cristallizzazione: rapida con cristalli fini.
Alta Montagna. Colore: ambra. Sapore: tenue ma persistente con gradevole retrogusto. Cristallizzazione: rapida con cristalli fini.
Eucalipto. Colore: ambra chiaro. Sapore: persistente.
Oltre al miele, le aziende del Parco ricavano anche polline, propoli e pappa reale. 

Per saperne di più

Il miele con certificazione biologica viene estratto e confezionato a freddo: per la produzione, vengono scelte le zone di produzione lontano da potenziali contaminanti quali insediamenti urbani o industriali e strade di grande comunicazione. In base ai protocolli dell’ apicoltura biologica non è ammesso l’uso di antibiotici per l’eventuale cura delle api. Le arnie devono essere realizzate con materiali atossici e naturali, comprese le vernici e la cera deve avere certificazione biologica.

Nel Parco vengono prodotti i seguenti mieli da apicoltura certificata:
Acacia (robinia). Colore: molto chiaro. Sapore: leggero, delicato; ricorda il dolce della frutta matura. Cristallizzazione: molto ritardata quasi assente.
Castagno (castanea sativa). Colore: scuro. Sapore: forte, persistente, penetrante. Cristallizzazione: Molto ritardata, quasi assente. 
Millefiori. Colore: dal noce chiaro al noce scuro, a seconda delle annate dei pascoli. Sapore: caratteristico e gradevole. Cristallizzazione: fine, regolare, compatta.
Melata di bosco. Colore: scuro quasi nero. Sapore: meno dolce e stucchevole dei mieli di nettare. Cristallizzazione: in genere assente.

Per saperne di più

Il nome di Triora è strettamente legato alle streghe. Si crede che in questi boschi si svolgessero riti satanici e per questo nel XVI secolo alcune donne “invasate” vennero rinchiuse, processate ed addirittura bruciate sul rogo. Per spiegare la diffusione di tale fenomeno è stato chiamato in causa persino il Pane di Triora, che forse all’epoca veniva preparato con la segala cornuta, cereale ricco di l’acido lisergico che può infatti creare alterazioni del sistema nervoso.
Nel tempo sono mutati gli ingredienti e il pane è diventato sicuramente meno pericoloso, ma indubbiamente è rimasto famoso per gli ingredienti (farina integrale ricca di fibre e proteine) e l’aspetto, tondo e largo, riconoscibile per la crusca sul fondo.

Oggi il pane di Triora è un prodotto di panetteria tradizionale riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.). E’ un pane casereccio di montagna: si presenta con le foglie di castagne che un tempo avevano la funzione di non far attaccare il preparato alla teglia o alla superficie diretta del forno. Di eccezionale conservabilità, una settimana almeno, è ottimo tagliato a fette spalmate con il brusso, tipica ricotta di capra.

Per saperne di più

Lo Zafferano di Triora nasce sulle soleggiate colline dell’omonimo Comune situato in Alta Valle Argentina: una zona dalla natura lussureggiante e incontaminata, un luogo dove le tradizioni si tramandano nel tempo e l’agricoltura è ancora principalmente manuale a causa della difficile morfologia del territorio, prevalentemente montuoso.

Lo zafferano coltivato in questo territorio, con un’esposizione al sole ideale per questa piantagione, è una spezia dall’aroma intenso e dal colore rosso che rilascia tonalità oro nell’utilizzo.

La certificazione ISO dello Zafferano di Triora garantisce l’eccellenza del prodotto. Il prodotto è certificato “Qualità Superiore” grazie alla tipologia del terreno e della sua lavorazione e cura. La morfologia delle colline che circondano Triora impone una coltivazione tradizionale. I fiori vengono raccolti uno a uno, prima che il sole apra i petali, quindi gli stimmi vengono separati e stesi. Questi, una volta essiccati, sono confezionati e pronti per la vendita.

Per saperne di più

Da circa mille anni, l’Ormeasco è attore della storia del territorio dell’entroterra ligure di Ponente: i vini di questa zona si distinguono per buone acidità, colori vivaci, profumi delicati, gusto armonico e persistente.

L’Ormeasco è un vino di colore rosso intenso, vinoso e fragrante da giovane; se affinato diventa ampio, fine e persistente, con sentori di ciliegia matura, mora e violetta. Quando invecchiato, prevalgono sentori di resine boschive e legno fresco di castagno.

Vitigno versatile, in sostanza un dolcetto a raspo verde, trova il suo habitat ideale e naturale nell’Alta Valle Arroscia fino a 700/800 m, ma in terreni che devono “sentire il mare”. Si dice versatile perché oltre a dare il classico vino rosso secco, che può affrontare un buon percorso evolutivo, è adatto ad essere vinificato in rosato, per ottenere l’Ormeasco Sciac-trà, con aromi di frutta e colore rosa corallo. Alcolicità: 11-13,5%. Viene prodotto con uve del vitigno omonimo (Ormeasco, sinonimo di Dolcetto) per il 95% e con un massimo del 5% di uve a bacca rossa, non aromatiche, autorizzate e/o raccomandate in Provincia di Imperia.

Per saperne di più

L’olio extravergine d’oliva (o olio EVO) è un prodotto storico che si affaccia sulle mense mediterranee fin dall’antichità ed è il più naturale che si possa ottenere dall’olivo, una vera e propria spremuta di olive. Un olio si definisce “extra vergine” quando è ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici, con analisi chimiche e fisiche che soddisfano una lunga serie di parametri richiesti dai regolamenti comunitari.

Grazie alla sua composizione, all’olio extravergine di oliva è riconosciuto un ruolo fondamentale in una dieta equilibrata: contiene infatti diverse sostanze essenziali per l’organismo umano, come ad esempio i polifenoli, molecole organiche naturali con potere antiossidante, che reagiscono con i radicali liberi presenti nel corpo umano, eliminandoli.

L’olio di oliva si ottiene dalla spremitura del frutto (conosciuto come “drupa”) dell’albero di ulivo (Olea Europaea), mediante specifici processi meccanici (pressione delle olive) e processi fisici (decantazione, centrifugazione e filtrazione) in condizioni termiche controllate. Nel Parco, la zona di produzione e di trasformazione dell’olio extravergine di oliva interessa in particolar modo l’Alta Val Nervia e la Valle Arroscia.

Per saperne di più

In Valle Argentina la lavanda cresce spontanea: la tradizione della raccolta e della distillazione per la preparazione di estratti arrivò alla fine dell’Ottocento, probabilmente importata dalla vicina Provenza, ma sviluppò ben presto una tradizione e una produzione specifica fino al secondo dopoguerra, quando la coltivazione rimase in un ambito più familiare.

Si saliva a Drego (nel Comune di Molini di Triora) armati di falcetti e teli di iuta, si raccoglieva la lavanda e la si portava giù a distillare con una teleferica. L’olio essenziale ricavato riforniva inizialmente la Ditta Niggi, nota per il marchio Lavanda Col di Nava, poi nacque la Distilleria Cugge, attiva ancora oggi.

La distillazione. Oggi si utilizza un distillatore a “fuoco indiretto”, mentre un tempo veniva usato il metodo a “fuoco diretto”, con legna di castagno locale. Il fiore appena raccolto si distende a terra per evitarne la fermentazione poi si versa nell’alambicco, che viene chiuso ermeticamente con un coperchio a cono che ricorda una pipa rovesciata, alla sommità del quale un tubo lo collega ad una serpentina dove scorre acqua fredda. In essa i vapori che attraversano i fiori e gli oli essenziali si condensano e tornano rapidamente allo stato liquido. Si separa quindi l’olio essenziale dall’acqua: quest’ultima prende il nome di idrolato di lavanda.